Virginia Woolf, una delle voci letterarie più grandi del 20esimo secolo, è nata in un giorno come quello di oggi, il 25 gennaio, di 136 anni fa. Sarebbe morta 59 anni più tardi, con le tasche del cappotto piene di pietre ammucchiate da lei stessa proprio prima di immergersi nelle acque profonde del fiume Ouse, nel nord dello Yorkshire, in Inghilterra.
Non era la prima volta che aveva tentato il suicidio. Nel 1904, la scrittrice londinese si era lanciata dalla finestra a soli 22 anni. Nel 1913, ingerì durante la colazione cinque grammi di veronal, noto anche come barbital, un derivato dell’acido barbiturico. In nessuno dei due casi era riuscita a portare a termine il piano.
“A volte la sensazione della totale inutilità della mia vita si riverbera come un tuono dentro di me”, confessò per iscritto nel 1930 alla sua grande amica e suffragista Ethel Smyth, con cui aveva una storia d’amore.
Il giorno in cui Virginia Woolf lo realizzò è stato venerdì 28 marzo del 1941. Nonostante gli sforzi per tenerla occupata, il marito Leonard e la sua governante, Louie, non sono stati capaci di impedire la sua fuga. Disse che avrebbe riposato per mezz’ora, ma si infilò gli stivali, si avvolse negli abiti e si diresse verso il fiume.
Prima aveva fatto in modo di lasciare sparpagliati in tutta la casa non una, ma diverse lettere di suicidio indirizzate a suo marito e a sua sorella Vanessa. Alcuni bambini hanno trovato il suo corpo due settimane dopo, trascinato dalla corrente, vicino al ponte di Southease.
“Caro, Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere”, ha scritto Virginia Woolf a suo marito prima di morire.
“So che non mi riprenderò mai: e sto sprecando la tua vita. È pazzesco. Niente di quello che qualcuno possa dirmi mi persuaderà. Puoi lavorare, starai molto meglio senza di me. Vedi che non sono nemmeno in grado di scrivere questo, il che dimostra che ho ragione “, ha aggiunto nel suo addio.
“Tutto quello che voglio dire è che fino alla comparsa di questa malattia, eravamo perfettamente felici. Tutto è stato grazie a te. Nessuno avrebbe potuto essere buono come lo sei stato tu, dal primo giorno fino ad ora. Sono convinta che sto impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo attraversare tempi terribili come quelli di nuovo. E questa volta non mi riprenderò”, ha confessato in una seconda nota. Tuttavia, una brutta copia del suo messaggio ha riscritto le ragioni che hanno portato l’autrice di The Waves (Le Onde, nel 1931), To the Lighthouse, 1927 – Gita al faro (tradotto anche come Al faro), Orlando: A Biography, 1928 – Orlando, Mrs Dalloway, 1925 – La signora Dalloway, a far tacere per sempre le voci della sua testa e
“Ho la sensazione che sto per impazzire di nuovo e non posso continuare in questi tempi terribili”. L’esaminatore forense della scrittrice, citato nel Sunday Times di Londra, ha collegato direttamente la morte di Virginia Woolf con il conflitto bellico che frantumò l’Europa e le sue disastrose conseguenze per la sua popolazione. “La signora Woolf era indubbiamente estremamente sensibile e si sentiva più responsabile della maggior parte delle persone di fronte alla brutalità degli eventi che accadono oggi nel mondo”, ha spiegato il dottore nelle stesse pagine.
L’errata rivelazione non è passata inosservata, scatenando ogni sorta di reazioni, compresi attacchi rabbiosi alla ragazza Woolf. “Ha sofferto di depressione circa 25 anni fa. I vecchi sintomi riapparvero circa tre settimane prima che finisse la sua vita, e pensò che questa volta non sarebbe migliorata”, aveva spiegato Leonard senza che nessuno lo ascoltasse. Le moderne tecniche diagnostiche hanno portato a una postuma diagnosi di disturbo bipolare (come quello di Sinead O’Connor e Dolores O’Riordan) unito, probabilmente, negli ultimi anni, a una psicosi
Virginia non si arrese, non era debole. Assorbiva ogni sensazione che i suoi sensi catturassero e, con la sua freschezza, batteva euforicamente sui tasti della sua macchina da scrivere, dipendente dalle parole. Ma non fu in grado di affrontare con più tempo, quel monologo interiore che lei incarnava così bene nei suoi testi, diventata oggi una storia di letteratura universale. Sapeva cosa stava per succedere, conosceva bene il soffocamento del dolore nero della depressione. E, prima che lo sentisse nuovamente, ha preferito finirla per non sentire più nulla.