Il momento della nascita è una fase delicatissima nella quale non devono mancare tutte quelle accortezze previste per evitare danni al nascituro. Ed è così che in presenza di omissioni decisive, come l’interruzione del monitoraggio Ctg (cardiotocografico) per un periodo congruo di tempo prima del parto, sussiste una responsabilità certa di struttura e sanitari se al neonato sono state riscontrate lesioni cerebrali da ipossia, pur non avendone certezza della causa. A stabilirlo la Suprema Corte con la sentenza 8664/17, pubblicata il 4 aprile. La vicenda, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, scaturisce dopo che una madre aveva citato in Tribunale prima e Corte di appello di Roma poi, una struttura sanitaria e due medici, ritenuti responsabili delle lesioni cagionate al figlio da «sofferenza ipossico-ischemica» subìta durante il parto che avevano causato danni patrimoniali e non in capo ai genitori e al bambino. I giudici dei primi due gradi di giudizio avevano sorprendetemente escluso il nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e l’evento, pur in presenza (rilevata) di un comportamento omissivo dei medici, vale a dire l’interruzione del monitoraggio Ctg (cardiotocografico) per un periodo congruo di tempo prima del parto. La donna allora non aveva gettato la spugna e aveva così deciso di ricorrere in Cassazione dove i giudici di legittimità in relazione ai danni cerebrali da ipossia neonatale, hanno stabilito il principio secondo cui, quando si è in