La storia si schianta sulla Terra: il lungo viaggio della Sonda Kosmos 482 su Venere

  • Il mistero di Kosmos 482: l’ultimo relitto sovietico in orbita terrestre pronto a rientrare dopo 53 anni

Kosmos 482: un’eredità della corsa spaziale tra URSS e USA

Durante gli anni più intensi della Guerra Fredda, tra il 1960 e il 1970, l’Unione Sovietica avviò un ambizioso programma spaziale con un obiettivo preciso: esplorare Venere, il pianeta definito “gemello della Terra” per le sue dimensioni e composizione simili. In totale, furono 29 le sonde lanciate in direzione di Venere, con risultati alterni. Tre sonde passarono oltre il pianeta e si misero in orbita attorno al Sole; sedici riuscirono a orbitare o atterrare sulla superficie venusiana, sopportando condizioni estreme, mentre dieci rimasero bloccate nell’orbita terrestre.

Tutte queste missioni rientrarono nell’atmosfera terrestre nell’anno stesso del loro lancio. Tutte, tranne una: Kosmos 482, rimasta in orbita per oltre cinque decenni.

Kosmos 482 non è un semplice rottame spaziale. Si tratta dell’ultimo relitto ancora in orbita del programma sovietico per l’esplorazione di Venere. Progettata per resistere alle condizioni infernali di Venere, la sonda è composta da materiali avanzati come leghe di titanio, capaci di sopportare temperature superiori ai 1.700°C e una pressione atmosferica novanta volte superiore a quella terrestre. Proprio per questa struttura, alcuni esperti ritengono che il modulo di atterraggio potrebbe sopravvivere al rientro nell’atmosfera terrestre e impattare al suolo invece di disintegrarsi.

Secondo le ultime stime, il rientro incontrollato di Kosmos 482 è previsto intorno al 10 maggio 2025.

Dalle ambizioni interplanetarie alla caduta sulla Terra

Il programma sovietico prevedeva il lancio delle sonde Venera a coppie, a pochi giorni di distanza. L’idea era che, in caso di guasto di una sonda, l’altra avrebbe potuto completare la missione. La sonda Venera 8 fu lanciata il 27 marzo 1972 e, dopo 117 giorni, atterrò con successo su Venere. Il suo “gemello”, lanciato il 31 marzo dello stesso anno, non riuscì a superare l’orbita terrestre e fu riclassificato come Kosmos 482.

La missione fallì per un errore nel timer del razzo di seconda fase, che interruppe prematuramente l’accensione necessaria per portare il veicolo fuori dall’orbita terrestre. Il modulo di propulsione bruciò nell’atmosfera, mentre alcuni contenitori pressurizzati in titanio caddero in Nuova Zelanda. Nel giugno del 1981, la navetta madre rientrò e si disintegrò, ma il modulo di atterraggio da 465 kg continuò a orbitare indisturbato.

In questi anni, l’orbita della sonda si è lentamente abbassata, passando da un massimo di 9.000 km a circa 2.000 km di distanza dalla Terra. Ora, la resistenza atmosferica sta trascinando il modulo verso un inevitabile rientro.

Le condizioni del rientro sono incerte. Il modulo non ha più alcun sistema di raffreddamento attivo o paracadute per frenare la caduta. Gli scienziati ipotizzano che possa sopravvivere alla discesa, esattamente come accadde nel 1972 quando frammenti simili – soprannominati “space balls” – toccarono il suolo incolumi.

Il caso di Kosmos 482 si inserisce in un dibattito più ampio riguardante l’impatto ambientale della spazzatura spaziale. Oggi, si stima che un satellite Starlink rientri nell’atmosfera quasi ogni giorno, generando fuliggine e sostanze chimiche nocive. Nonostante ciò, episodi come questo richiamano l’attenzione su oggetti spaziali progettati per durare nel tempo e resistere a condizioni estreme, ben diversi dai satelliti commerciali attuali.

Kosmos 482 rappresenta una reliquia del passato, nata in un’epoca di tensioni globali, ma tornata oggi a farci riflettere sulle conseguenze delle nostre ambizioni spaziali. Nel frattempo, sulla superficie di Venere, la sonda Venera 8 attende ancora il suo “gemello mancato”.