In Corea del Sud, il celebre marchio statunitense – conosciuto per il crollo causato dalla fotografia digitale – torna protagonista grazie alla moda e alla nostalgia giovanile.
Per decenni, Kodak è stata sinonimo di fotografia analogica, momenti familiari e ricordi indelebili. Tuttavia, l’incapacità di innovare e cavalcare la trasformazione digitale – paradossalmente una tecnologia che l’azienda stessa contribuì a sviluppare – ha portato nel 2012 alla dichiarazione di bancarotta.
Oggi, Kodak vive un’insolita seconda giovinezza. Non più nel mondo delle fotocamere o delle pellicole, ma come fenomeno di moda, cultura pop e branding.
Secondo un’inchiesta del New York Times, Kodak è diventata un’icona di stile tra i giovani sudcoreani, in particolare nel quartiere Seongsu-dong di Seul, spesso paragonato a Brooklyn per la sua atmosfera hipster e creativa.
Nel Kodak Corner Shop, situato tra boutique di moda alternativa e caffetterie di design, si vendono t-shirt, abiti, cappellini e zaini con il celebre logo rosso e giallo. Lo slogan “Condividi momenti. Condividi la vita”, lanciato oltre vent’anni fa, è tornato ad attirare l’attenzione di una nuova generazione.
“Kodak non ha perso il suo impatto emotivo”, ha dichiarato Lee Young-ji, studentessa di marketing, durante una visita al negozio insieme a un’amica fotografa. Entrambe riconoscono in quel logo un richiamo alla fotografia analogica e a un’epoca percepita come più autentica.
La rinascita di Kodak è alimentata dal trend culturale sudcoreano noto come “newtro”, fusione tra il “nuovo” e il “retrò”. Si tratta di una tendenza che mescola stile vintage e design contemporaneo, creando un forte richiamo nostalgico tra i giovani consumatori.
In questo contesto, Kodak si affianca ad altri storici brand americani come National Geographic o persino Lockheed Martin, che attraverso licenze strategiche sono diventati protagonisti nel mondo dell’abbigliamento streetwear.
Il successo della nuova immagine di Kodak si concretizza nella linea Kodak Apparel, gestita tramite licenza dalla società sudcoreana Hilight Brands. Il brand propone capi casual e urban che fondono passato, presente e futuro, incorporando loghi e grafiche ispirate all’eredità visiva della storica azienda americana.
Oggi, esistono 123 negozi fisici Kodak in Corea del Sud, e il marchio si è già espanso anche in Giappone, Cina e Taiwan. Sorprendentemente, non ci sono negozi di questo tipo negli Stati Uniti.
L’obiettivo di Kodak è chiaro: rafforzare il legame emotivo con i consumatori attraverso licenze di marca. “Le licenze permettono di dare nuova vita al rapporto affettivo tra il consumatore e un marchio storico”, ha spiegato Maura Regan, presidente di Licensing International.
Attualmente, Kodak concede l’uso del proprio logo non solo per abbigliamento, ma anche per pannelli solari, televisori, torce elettriche e persino giocattoli Barbie.
Nonostante questa diversificazione, Kodak ha registrato nel 2023 1 miliardo di dollari di fatturato, una cifra ben lontana dagli oltre 19 miliardi che generava negli anni Novanta. A Rochester, nello Stato di New York, l’ex sede centrale – un tempo composta da circa 200 edifici – oggi è in parte demolita o riconvertita per altri usi.
Il segmento delle licenze, però, ha mostrato segnali positivi: 20 milioni di dollari di ricavi nel 2023, con un aumento del 35% rispetto a cinque anni fa, quando la gestione del brand è diventata una divisione autonoma all’interno dell’azienda.
Alcuni esperti guardano con diffidenza a questa nuova identità. “È un po’ triste, perché riflette il profondo declino del marchio”, ha commentato Timothy Calkins, docente di marketing alla Northwestern University.
Altri, al contrario, vedono in questo rilancio una possibilità concreta di ripensare Kodak come un marchio lifestyle, capace di trascendere la fotografia e reinventarsi in chiave moderna.
Il caso Kodak dimostra come un brand storico possa sopravvivere a un tracollo tecnologico, facendo leva su nostalgia, design vintage e connessione emotiva con il pubblico. Un esempio di rebranding strategico che trasforma un fallimento industriale in un fenomeno culturale globale.
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