Johatsu: 80 mila giapponesi scompaiono ogni anno senza traccia

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Il fenomeno dei “Johatsu”: quando scomparire diventa un’alternativa alla vita in Giappone

Ogni anno in Giappone, circa 80.000 persone scompaiono volontariamente senza lasciare tracce. Un fenomeno enigmatico e inquietante, che ha un nome preciso nella cultura giapponese: Johatsu, ovvero “gli evaporati”. Ma chi sono davvero queste persone? E cosa le spinge ad abbandonare tutto?

Cosa significa Johatsu: la sparizione come scelta esistenziale

In lingua giapponese, “Johatsu” (蒸発) significa letteralmente “evaporazione”. È il termine utilizzato per descrivere coloro che decidono di sparire volontariamente dalla propria vita, tagliando ogni legame con il passato: famiglia, lavoro, amici e identità sociale.

Il fenomeno dei Johatsu è emerso in modo sistematico dalla metà degli anni ’90 e continua a coinvolgere migliaia di individui ogni anno. Dietro ogni sparizione c’è una storia di sofferenza, vergogna o bisogno estremo di ricominciare da zero.

Le ragioni dietro la sparizione: vergogna, debiti e pressione sociale

Le cause che portano una persona a diventare un Johatsu sono molteplici. In una società altamente competitiva come quella giapponese, la pressione sociale e lavorativa è spesso insostenibile.

Divorzi, fallimenti scolastici, licenziamenti, debiti insostenibili o scandali personali possono rappresentare una vergogna tale da non poter essere sopportata. In Giappone, il mantenimento dell’onore personale e familiare è profondamente radicato, al punto che la fuga può sembrare l’unica via d’uscita dignitosa.

La cultura del silenzio: perché i Johatsu non vengono cercati

A differenza di quanto avviene in molti Paesi occidentali, in Giappone la scomparsa volontaria non è considerata un crimine. La legge tutela la privacy individuale, e in assenza di prove di reato, la polizia si astiene dal cercare le persone scomparse. Questo lascia le famiglie in un limbo emotivo, costrette a rivolgersi a investigatori privati per ottenere risposte.

L’economia invisibile dei “traslocatori notturni”

Dietro ogni Johatsu, spesso, c’è un’organizzazione. Esiste infatti un’intera economia parallela che ruota attorno a queste sparizioni: i cosiddetti “traslocatori notturni” (in giapponese: yonige-ya).

Questi servizi specializzati operano al calar della notte, aiutando le persone a scomparire in segreto, svuotando appartamenti, cancellando tracce digitali, cambiando identità e ricollocando i clienti in città lontane. È un servizio legale, ma estremamente discreto e difficile da monitorare.

Johatsu e suicidio: due risposte opposte alla stessa crisi

La scelta di diventare un Johatsu viene spesso contrapposta al suicidio, una pratica storicamente presente nella cultura giapponese come forma estrema di espiazione o di salvaguardia dell’onore. Tuttavia, chi sceglie di “evaporare” lo fa per non morire, ma per vivere altrove, come ha dichiarato Arata Mori, co-regista del documentario Johatsu: Aria sottile.

In Giappone, infatti, il suicidio comporta conseguenze economiche pesantissime per le famiglie: dai debiti ereditati, alle sanzioni inflitte dalle compagnie ferroviarie se l’evento avviene sui binari. Scomparire, pur con tutto il dolore che ne consegue, diventa un’alternativa più “pragmatica”.

Il documentario “Johatsu: Aria sottile”: sei anni per raccontare l’invisibile

Il fenomeno dei Johatsu è stato raccontato con sensibilità e rigore nel documentario Johatsu: Aria sottile, diretto da Andreas Hartmann e Arata Mori. Il progetto ha richiesto oltre sei anni di lavoro, durante i quali i registi hanno raccolto testimonianze dirette di persone scomparse e poi riemerse, o rimaste nell’ombra.

Per motivi di sicurezza e rispetto della privacy, il film non verrà mai distribuito in Giappone. Le storie raccontate, tra squallidi alloggi di fortuna e lavori in nero, mettono in luce una seconda vita lontana dai riflettori, ma comunque segnata da tristezza, rimpianto e solitudine.

Famiglie spezzate e il dolore della “perdita ambigua”

Chi rimane, vive il tormento di una “perdita ambigua”, termine usato per descrivere un lutto senza corpo, senza fine, senza risposte. La mancanza di chiusura emotiva è devastante, e non di rado genera nuovi casi di sparizione nella stessa famiglia. Alcuni Johatsu, infatti, hanno vissuto da piccoli l’esperienza di un genitore scomparso.

Il ciclo si ripete, silenzioso e doloroso, senza che lo Stato o le autorità intervengano con strumenti adeguati.

Storie vere tra fuga e sopravvivenza

Le motivazioni dei Johatsu non si riducono sempre a traumi o scandali. In molti casi, si tratta di persone consumate da un senso di alienazione sociale, che non riescono a identificarsi con i valori dominanti o sentono di non appartenere a nessun gruppo.

Nel documentario, ad esempio, si racconta la storia di un uomo in fuga da una compagna violenta, trasportato in fretta da un traslocatore notturno. Ma si parla anche di vittime di violenza domestica, intimidazioni mafiose o stalking.

Ogni storia è diversa, ma tutte hanno un punto in comune: il desiderio disperato di un nuovo inizio.

La scomparsa volontaria esiste anche in Occidente?

Il fenomeno dei Johatsu, sebbene profondamente radicato nella cultura giapponese, non è esclusivo del Giappone. In Europa e negli Stati Uniti esistono figure professionali che aiutano le persone a cambiare identità e ricominciare, soprattutto in situazioni di crisi.

Secondo Hartmann, persino alcuni traslocatori notturni giapponesi si stanno oggi espandendo all’estero, per aiutare clienti a rifarsi una vita fuori dal Paese.

Italia: un Paese sempre più vulnerabile a questa tendenza

Con l’aumento del costo della vita, la precarietà lavorativa e il carico psicologico crescente, anche in Italia stanno emergendo segnali simili. Le persone scomparse in Italia sono in aumento, e non tutte sono vittime di reati: in molti casi si tratta di scomparse volontarie dovute a stress, fallimenti economici o disagio mentale.

È fondamentale iniziare a riflettere su questi fenomeni non solo come tragedie individuali, ma come spie di un malessere collettivo.

Un messaggio di speranza: la possibilità della riconciliazione

Nonostante il tono drammatico, Johatsu: Aria sottile lancia un messaggio chiaro: non è mai troppo tardi per tornare indietro. Alcuni protagonisti del documentario sono riusciti, anni dopo la sparizione, a riconnettersi con i propri cari, superando il muro di silenzio e paura.

“C’è sempre speranza di riconciliazione”, afferma Hartmann. “Questo film ci ricorda che, anche nelle situazioni più disperate, è possibile avere una seconda possibilità”.