Sono quattro le ordinanze della Corte Suprema di Cassazione, n. 3447, 3448, 3449, 3450 depositate in data 9 febbraio 2017, che in accoglimento delle eccezioni formulate dal noto tributarista leccese Maurizio Villani, hanno rigettato i ricorsi dell’Agenzia delle Entrate, con condanna alle spese, ed hanno confermato gli annullamenti degli avvisi di accertamento 2003, 2004, 2005 e 2006, per un totale di € 1.500.000,00 oltre interessi, in tema di indagini bancarie che erano state svolte dalla Guardia di Finanza. In particolare, rileva Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, la vicenda ha ad oggetto l’impugnazione di quattro avvisi di accertamento relativi alle annualità 2003, 2004, 2005 e 2006 con i quali l’Ufficio, a seguito di indagini fiscali effettuate dalla Guardia di Finanza, contestava alla società un maggior reddito di impresa ed un maggior volume di affari, con conseguente rettifica ai fini IRES, IRAP ed IVA, il tutto per una pretesa impositiva pari a circa un milione e mezzo di euro. Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate di Lecce poneva a base delle proprie contestazioni solo ed esclusivamente le movimentazioni bancarie poste in essere dalla società che, a suo dire, non trovavano adeguata giustificazione dalle risultanze contabili. La società, nel costituirsi in giudizio, tramite l’avvocato Villani, ha tuttavia ricostruito puntualmente l’origine e lo scopo di ogni singola operazione finanziaria, mediante la produzione di corposa documentazione, volta a dimostrare non solo i singoli movimenti bancari ma altresì le fonti dei propri proventi. Come noto, infatti, l’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 dispone che i versamenti e i prelevamenti, eseguiti dal contribuente sui conti correnti personali, sono posti presuntivamente a base delle rettifiche e degli accertamenti dell’Ufficio, in quanto considerati come componenti positivi di reddito occultati, tutte le volte in cui il contribuente non sia in grado di indicarne il beneficiario e sempre che gli stessi non risultino in contabilità. Spetta, pertanto, al contribuente l’onere di provare in modo idoneo che ne ha tenuto conto nella sua contabilità oppure che la somma non rileva perché esente o soggetta a ritenuta d’imposta, al fine di vincere la presunzione.Nell’accertamento ex art. 32 citato deve, peraltro, analizzarsi ogni singola movimentazione, a prescindere dal dato formale ed è necessario che la prova contraria del contribuente sia in qualche modo confutata nel merito dall’Ufficio, cosa che nel caso di specie non è avvenuta. Alla luce delle ampie giustificazioni fornite dalla contribuente, correttamente, quindi, sia i giudici di primo grado sia i giudici di secondo grado e sia, da ultimo, la Corte di Cassazione, hanno accolto le doglianze della società, annullando tutti gli avvisi di accertamento impugnati e, peraltro, condannando l’Agenzia delle Entrate alle spese del giudizio.
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