In vista dello scambio automatico d’informazioni fiscali, a cui anche la Svizzera aderirà prevedibilmente dal 2018, vi è stato un boom di rientro di capitali in Italia nell’ambito della voluntary disclosure. Secondo i dati elaborati da Generale Servizi Amministrativi (Gsa), su circa 3 miliardi di asset lavorati, l’85% proviene dalla Svizzera. Poco meno del 10% di quanto rientrato a fine settembre 2015, il 53,7% ha riguardato patrimoni inferiori al milione di euro, il 21,1% tra 1 e 2 milioni, il 15,9% tra 2 e 5 milioni, il 5,5% tra 5 e 10 milioni e il 3,8% oltre 10 milioni di euro.
Il 7,3% degli asset è rientrato poi dal Lussemburgo, il 2,3% dal Liechtenstein, il 2% da Monaco e l’1% da Guernsey, il rimanente è frammentato tra altri paradisi fiscali, tra i quali le isole Bahamas, specifica Gsa, joint venture tra il Gruppo MutuiOnline e Generale Fiduciaria. A livello di asset finanziari i rimpatri curati da Gsa hanno riguardato per il 60% azioni e fondi armonizzati, per il 24,4% obbligazioni e per il 16% fondi non armonizzati e altri investimenti.
La voluntary disclosure rappresenta l’ultima spiaggia per migliaia di contribuenti che intendono regolarizzarsi ed evitare pesanti sanzioni penali.
La voluntary disclosure non concerne però solo soldi o metalli preziosi. Consente anche ai contribuenti italiani che detengono opere d’arte all’estero di dichiararle, pagando una sanzione. I contribuenti che non hanno ancora regolarizzato la loro situazione fiscale, evidenzia Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, avranno tempo fino al 30 novembre per presentare la domanda di voluntary disclosure (adesione spontanea), ossia per far emergere i capitali detenuti all’estero, e fino al 31 dicembre per inoltrare la relativa documentazione.